Se Spalletti ha portato a Napoli il terzo, lui è stato l’allenatore a infrangere un tabù che durava da 61 anni. Ottavio Bianchi è stato il primo tecnico capace di vincere il tricolore all’ombra del Vesuvio…
Lui è bresciano, ma vive ormai a Bergamo da 50 anni: “Ma la lezione di vita l’ho ricevuta a Napoli”.
In un’intervista al Corriere della Sera, a pochi giorni dai suoi 80 anni, Ottavio Bianchi ripercorre la sua carriera fatta di gavetta, vittorie, personaggi straordinari come Maradona, Sivori, Rivera, Zoff. “Napoli trasmette la gioia di vivere. Basta saper osservare e ascoltare, è un insegnamento continuo. L’importante è non farsi assorbire”. Lui a Napoli è stato prima da giocatore e poi da allenatore: “Allenavo il Como quando mi chiamò Italo Allodi. Gli dissi di no perché ritenevo impossibile vincere qualcosa. Avevo conosciuto l’ambiente da calciatore. Giocavo con Zoff, Sivori, Altafini, eppure non vincemmo niente perché non c’era la mentalità del lavoro duro. Dopo una vittoria scoppiava la festa…”. Ma alla fine accettò di allenare la squadra che comunque portava nel cuore: “Sì, dissi: vengo ma si fa come dico io. Indossai l’elmetto e iniziò l’avventura”. Un’avventura che ha fruttato. Eccome. Una Coppa Italia, una Coppa Uefa e soprattutto il primo Scudetto nella storia del Napoli, quello che forse più di ogni altro è ancora nel cuore dei tifosi azzurri più esperti: “Lo scudetto è stata una gioia incontenibile, con importanti risvolti sociali. Ma abbiamo ottenuto quello che meritavamo, niente di più”.
Bianchi: “Napoli ti insegna la gioia di vivere…”
Icona di quella squadra era Diego Armando Maradona. Bianchi spiega come era il suo rapporto con il 10: “Non vincemmo lo scudetto solo per lui. Sono più importanti il collettivo e l’organizzazione di gioco”, rivela Bianchi. Diego era un giocatore unico, impossibile però governarlo fuori dal campo: “Per me contava solo il calciatore ed era un talento straordinario. Abbiamo avuto scontri e incontri, ma mi ha sempre rispettato. Avrebbe dovuto fare una vita più regolare, evitare certe frequentazioni”. Un giorno gli dissi che avrebbe fatto la fine di un pugile allo sbando. “Vuoi proprio finire come Monzón?” (il pugile argentino che morì a 52 anni in un incidente stradale mentre tornava in carcere dove scontava la pena per l’omicidio della terza moglie, ndr)”.
La risposta di Maradona non lasciò spazio a repliche: “Mi disse “Lei ha ragione, mister, ma io voglio vivere la vita con il piede che spinge sull’acceleratore.” Allora mi resi conto che non c’era niente da fare”. Nessuna nostalgia del calcio che ha lasciato da 20 anni: “Nessuna. Non sarei adatto. La mia educazione era completamente diversa. Dovrei ritornare a scuola”.