Le parole del leggendario Rombo di Tuono sulle scelte fatte in carriera, su come è cambiato il calcio oggi e quella malattia subdola che viene a luci spente dei riflettori
Gigi Riva, oggi 78 anni, è stato uno degli attaccanti più forti della storia del calcio italiano, simbolo di uno scudetto storico e irripetibile al Cagliari. Detiene il record assoluto di marcature nel Cagliari con 207 reti e anche quello dei gol firmati con la maglia azzurra 35. Per 13 anni, dal 1990 al 2013, è stato anche team manager della Nazionale, amato e rispettato da tutti i calciatori che in quegli anni hanno vestito la maglia azzurra.
In una lunga intervista al Corriere della Sera, l’attaccante ripercorre le fasi salienti della carriera da calciatore, alcune scelte fatte, la promessa non mantenuta del Pallone d’oro e la differenza epocale sullo stile di vita dei calciatori di allora a confronto con quello di oggi.
“Rifarei sempre certe scelte”
Gigi Riva, per tutti Rombo di Tuono, è ancora oggi il recordman di marcature con la maglia azzurra. Basterebbe questo per spiegare la sua grandezza, diverso anche nella conformazione fisica degli attaccanti del tempo. Alto, filiforme, tutto sinistro e con un tiro forte e letale che non lasciava scampo ai portieri. In carriera ha scelto di vestire soltanto la maglia del Cagliari. “Anche se sono nato a Leggiuno in Lombardia, mi sento sardo perché sono di poche parole, spesso e volentieri ho il muso, mi preoccupo per i problemi di questa terra bellissima e reagisco a modo mio”.
Una carriera che, con altre scelte poteva portare molti più soldi e magari altre vittorie, come quando ha rifiutato il miliardo messo sul piatto dalla Juventus degli Agnelli: “Quando Arrica, il mio presidente, scoprì che non andavo, non fu contento per niente. Ma non sono testone: io ero una persona chiusa, avevo avuto un’infanzia tragica, i miei genitori erano mancati presto. Poi sono venuto a Cagliari e abbiamo costruito una gran bella cosa: lo scudetto era il sogno di ogni squadra”. Uno scudetto rimasto nella storia, un’impresa praticamente impossibile nel calcio moderno, anche per come è stato festeggiato: “Beh, lo scudetto è un ricordo indelebile. Avevamo festeggiato con tutta la squadra. Gli scapoli vivevano insieme in una foresteria e i tifosi venivano anche di notte a tenerci svegli”.
Quel Pallone d’oro promesso
“Non ci sono andato io alla Juve. E non sarei andato neanche all’Inter. Poi, non so come effettivamente siano andate le cose. Io pensavo a giocare e a poco altro. Sono sicuro di una cosa. E parlano i fatti. Per quanto mi riguarda, non sarei mai andato in un altro club e non era un problema di soldi. Però effettivamente quando il prezzo di un calciatore vola così in alto, ci sono solo pochissimi club che possono competere. E oggi ci sono gli arabi. Un tempo i padroni del mercato erano i nostri club”. Eccola la storia di Gigi Riva, la storia di un campione e di un uomo vero.
La vita di Riva è stata caratterizzata dal rigore morale ed etico di un uomo che ha affermato con forza che non tutto si può comprare. Ecco perchè è sempre così amato dalla sua gente, lui che poi ha deciso di continuare a vivere in Sardegna. Alcuni anni fa gli venne riscontrata una forma di quella malattia subdola come la depressione, “Ora va e viene. Ma adesso l’ho un po’ superata”, spiega l’attaccante che si lascia andare soltanto per una promessa non mantenuta, che ancora non ha metabolizzato: “No, non ho ancora digerito quel Pallone d’Oro assegnato a Rivera. Mi era stato promesso che l’anno dopo sarebbe toccato a me e poi invece mi sono fatto male”.