28Il fatturato dell’export dei prodotti agroalimentari percepiti come italiani vale oltre 129 miliardi di euro, ma molto meno della metà va alle imprese che producono il vero cibo Made in Italy. E’ quanto emerso a un recente convegno organizzato da Confcooperative nel corso della prima giornata del Festival dell’Economia a Trento.
Viene chiamato Italian sounding il fenomeno della contraffazione degli alimenti italiani al di fuori del nostro Paese, un vero e proprio business ai danni del nostro patrimonio alimentare. Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Mozzarella di Bufala campana e tanti altri prodotti nostrani Dop, vengono riprodotti illegalmente e immessi sul mercato con false etichette, creando un ingente danno economico alle nostre aziende e alla nostra stessa economia.
Il valore della contraffazione
L’eccellenza dei prodotti enogastronomici italiani è sempre più a rischio. Dalla pandemia in poi è esplosa in tutta la sua forza la piaga del falso cibo Made in Italy. Un vero e proprio business ai danni del nostro patrimonio alimentare, il più minacciato al mondo, che ne risente sia dal punto di vista economico sia per quanto riguarda la sua reputazione e la sua immagine. Questi prodotti infatti riportano sulle etichette diciture con riferimenti geografici, immagini o combinazioni che ricordano il nostro Paese. Una vera e propria pubblicità ingannevole che intende promuovere la commercializzazione di prodotti che non sono italiani, spesso realizzati con materie prime di scarsa qualità. La denuncia viene dal workshop “La cooperazione agroalimentare tra tutela e valorizzazione del cibo italiano”, organizzato da Confcooperative nel corso della prima giornata del Festival dell’Economia a Trento. “In Giappone, Brasile e Germania, solo per citare i primi tre paesi più interessati dal fenomeno dell’Italian Sounding, 7 prodotti agroalimentari italiani su 10 non hanno nulla a che vedere con il vero made in Italy agroalimentare” ha sottolineato il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini.
Meno della metà del mercato va alle aziende italiane
E’ stato calcolato che il fatturato dell’export dei prodotti agroalimentari percepiti come italiani vale oltre 129 miliardi di euro, di questi solo il 40% va alle imprese che producono il vero Made in Italy, il resto, quindi la fetta più grande, alimenta l’industria del falso. Ragù, Parmigiano e aceto balsamico sono i tre prodotti più falsificati: 6 su 10 di quelli venduti all’estero sono italian fake food, prodotti che di italiano hanno solo il nome, eppure vengono percepiti come tali da chi li acquista. “Il mercato del falso nel made in Italy agroalimentare vale più del totale dell’export veramente italiano, nonostante quest’ultimo abbia superato la barriera psicologica dei 50 miliardi di controvalore. A fronte di questo risultato il falso made in Italy ha fatto registrare un fatturato poco meno di 80 miliardi, il 60% in più. Un paradosso che produce un notevole danno economico per i produttori e di immagine per l’intera economia del nostro Paese”, ha aggiunto Gandini. C’è sicuramente bisogno di qualcosa in più dal punto di vista normativo, è necessario puntare su nuovi accordi di libero scambio, su delle intese bilaterali più favorevoli per le imprese agroalimentari italiane che stabiliscano chiare e precise clausole che vietino anche solo l’evocazione dell’italianità e dare impulso alla tracciabilità sfruttando la tecnologia ora a disposizione.