Anche in Italia è allo studio la possibilità di ridurre la settimana lavorativa a soli 4 giorni come già in molti altri paesi europei, ma il dibattito resta aperto
Il lavoro è parte integrante della vita di ognuno di noi, proprio per questo spesso si dibatte sull’equilibrio tra ore lavorate, retribuzione e produttività. Secondo i dati Eurostat nel nostro Paese il 9,4% dei lavoratori dedica alla propria occupazione quasi 50 ore a settimana, contro il 7% della media europea. In Belgio, Spagna, Islanda e Regno unito, usano già “la settimana corta”. In Italia, anche se è appena iniziato il dibattito, ci sono alcune aziende che la stanno già sperimentando su base volontaria: si lavora quattro giorni a settimana a parità di retribuzione.
Con il termine “settimana corta”, infatti, si intende generalmente la settimana
lavorativa della durata di 4 giorni al posto dei 5 canonici, generalmente a parità di retribuzione. Anche se quest’ultimo aspetto potrebbe non essere assicurato perché in alcune situazioni è prevista una piccola riduzione della paga o un carico di orario di lavoro settimanale di poco più leggero rispetto ai classici 5 giorni.
Adesso la questione è focalizzata sulla valutazione degli eventuali benefici sui lavoratori e sulle aziende stesse derivanti dall’applicazione della settimana lavorativa su 4 giorni. Uno studio condotto recentemente nel Regno Unito ha confermato i benefici dell’introduzione della settimana corta per i lavoratori e per il miglioramento delle imprese. Questa “nuova formula” consentirebbe di ridurre lo stress dei dipendenti, aumentando anche la produttività aziendale. Con una settimana di lavoro più corta, i dipendenti avrebbero più tempo libero per dedicarsi alle attività fuori dal lavoro, come hobby, famiglia o sport, questo li porterebbe a essere meno stressati e a concentrarsi maggiormente sulle attività lavorative durante i giorni di lavoro, sapendo di avere un giorno in più per recuperare e ricaricarsi. D’altro canto l’azienda potrebbe migliorare la soddisfazione dei dipendenti, ridurre l’assenteismo e aumentare la fedeltà aziendale, e inoltre risparmierebbe sui costi operativi, ad esempio su energia elettrica, riscaldamento e pulizie.
La maggioranza delle aziende coinvolte infatti, a seguito dell’esperimento, ha scelto di continuare visti gli elevati benefici constatati. La settimana corta quindi favorirebbe la riduzione dello stress e la salute dei dipendenti, portando le aziende a diventare più produttive, con crescita dei ricavi dell’1,4%. Il riscontro positivo quindi è reciproco. Il legame tra benessere dei lavoratori e produttività delle imprese sarebbe sempre più stretto, e anche in Italia vi è una necessità concreta di regolare la quantità di ore di lavoro settimanali, ma per ora, tranne due gruppi aziendali, Lavazza e Intesa, che la stanno sperimentando singolarmente, non c’è nulla di concreto a livello istituzionale. Va tenuto presente che in Italia, come accade in altri paesi europei, il monte ore settimanale rimane ancora indicativo, poiché molti lavoratori svolgono ore straordinarie in aggiunta a quelle standard. Su questo aspetto l’Italia si classifica tra i primi posti, dopo Malta, Francia, Irlanda e Austria. Il confronto è anche rispetto ad alcuni aspetti organizzativi, dalla necessità di non far crescere a dismisura il monte ferie, che rischia di essere usato meno se c’è già un giorno libero a settimana, e la formazione dei manager. “Bisogna passare dalla cultura del controllo a quella della fiducia nei propri collaboratori”, spiega William Griffini, ceo della società di consulenza Carter & Benson.
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