Una nuova inversione del campo magnetico terrestre potrebbe verificarsi in tempi relativamente brevi
Per quanto si sappia decisamente poco, gli scienziati ritengono che cambiamenti nella geodinamo possano comportare variazioni profonde nel campo magnetico terrestre, a un suo indebolimento e a una sua inversione totale.
Negli ultimi anni si stanno verificando alcuni fenomeni che, secondo molti scienziati, suggerirebbero una nuova inversione dei poli. Quindi una “polarità invertita”: la bussola che oggi punta a Nord, con un campo magnetico invertito punterebbe al Sud attuale.
Il campo magnetico terrestre è alimentato dal nucleo di ferro liquido che si trova al centro della Terra. Il raffreddamento e la solidificazione del nocciolo più interno stimola il ferro liquido circostante, fortemente conduttore di elettricità, creando potenti correnti elettriche. Queste, a loro volta, generano il campo magnetico che avvolge la Terra, dando origine a quel meccanismo chiamato geodinamo. La sua struttura è assimilabile a quella di un dipolo magnetico, in cui i poli magnetici sono vicini, ma non coincidenti con i poli geografici. Gli scienziati affermano che eventuali cambiamenti in questo meccanismo portino a variazioni nel campo magnetico, anche all’inversione dei poli.
Il meccanismo che causa le inversioni del campo resta ancora oggi in gran parte ignoto, ma le registrazioni paleomagnetiche mostrano come nel tempo geologico i due stati di polarità del campo si siano spesso alternati senza prevalenza di uno rispetto all’altro. Non ci sono regole per stabilire un esatto andamento dell’inversione del campo magnetico terrestre, infatti c’è stato un lunghissimo periodo di tempo in cui non si è invertito affatto e periodi in cui ci sono state numerose inversioni. Si è stabilito che in media, durante questo ultimo periodo, ci sia stata un’inversione del campo ogni circa 250 mila anni. L’ultima completa è datata a circa 780 mila anni fa.
Si è anche ipotizzato che un parametro da usare per prevedere una prossima inversione sia quello dell’intensità del campo, che proprio negli ultimi 180 anni è diminuita del 10% circa. Soprattutto in una parte della terra in cui il campo geomagnetico è caratterizzato da un’intensità inferiore rispetto al valore medio. Questa è definita: Anomalia del Sud Atlantico o SAA (South Atlantic Anomaly). È una zona piuttosto vasta dove, ad esempio, i passeggeri dei voli a lunga percorrenza possono prendere un po’ di radiazioni in più e dove la nostra tecnologia ha grandi difficoltà a funzionare.
Ma anche questi parametri non riescono a essere determinanti, perché gli studi paleomagnetici indicano che durante gli ultimi 780 mila anni l’intensità del campo è variata continuamente e ampiamente. La cosa certa è che le inversioni avvengono durante periodi di bassa intensità del campo, ma non è sufficiente a stabilire delle regole. L’interesse nella questione nasce dall’importante fatto che questo campo magnetico ci protegge dall’azione diretta del vento solare, un flusso continuo di particelle cariche di origine solare e cosmica, cioè radiazioni.
In generale, la preoccupazione non è tanto per l’uomo, di fatto il genere Homo esiste da oltre 2 milioni di anni ed è sopravvissuto ad almeno 5 inversioni principali. Le perplessità e i timori legati a un eventuale inversione sono relative alla tecnologia, da cui ormai dipendiamo quotidianamente. Quindi per i potenziali effetti dovuti ad un campo magnetico di intensità fortemente ridotta che potrebbe provocare un notevole aumento della penetrazione di particelle cariche nella magnetosfera a quote più prossime alla superficie terrestre, con importanti ripercussioni sul mondo tecnologico. L’ESA ha comunque una costellazione di satelliti dedicata allo studio di questi fenomeni, la cosa migliore al momento è seguire l’evoluzione della situazione.
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