Un recente studio conferma la datazione del 2021 sull’età delle impronte fossili rinvenute in New Mexico, nel Nord America
Le migrazioni non sono argomento moderno e in base a uno studio pubblicato su Science risultano esistere da molto più tempo di quello che avevamo imparato a conoscere. Attraverso la tecnica che utilizza il radiocarbonio, sono state datate tra i 21 e i 23 mila anni fa delle impronte umane trovate in New Mexico. Questa scoperta rimette in discussione tutto quello che sappiamo sull’approdo nel Nuovo Mondo da parte dei primi uomini preistorici e rimette sul piatto tutto il dibattito nella comunità scientifica.
Le impronte sono state trovate sulla riva di quello che una volta era un lago del Parco Nazionale White Sands, famoso per la presenza di grandi distese di sabbia bianca che stanno a ricordare, appunto, l’antica presenza di laghi ormai evaporati “La reazione immediata in alcuni circoli della comunità archeologica è stata che la precisione delle nostre datazioni non fosse sufficiente per sostenere la straordinaria affermazione che gli esseri umani erano presenti in America del Nord durante l’Ultimo Massimo Glaciale. Ma la nostra metodologia mirata in questa ricerca attuale ha davvero dato i suoi frutti”, ha dichiarato Jeff Pigati, geologo di ricerca del USGS e co-autore di uno studio appena pubblicato che conferma l’età delle impronte di White Sands. Ma le impronte non contengono carbonio, allora gli scienziati hanno pensato di utilizzare i resti di alcuni semi di erba, la Ruppia cirrhosa che, in quanto tali, contengono tracce di carbonio analizzabili, arrivando alla sorprendente scoperta. L’analisi supporta infatti la stima dell’età compresa tra 21.000 e 23.000 anni delle impronte, periodo che corrisponde al culmine dell’ultimo ciclo glaciale, conosciuto come “ultimo massimo glaciale”, e rende queste impronte le più antiche mai trovate nelle Americhe.
I detrattori di questa teoria dicono che la datazione potrebbe non essere veritiera perché le piante acquatiche utilizzate possono assorbire carbonio da atomi di carbonio disciolti nell’acqua anziché dall’aria dell’ambiente, e questo potrebbe potenzialmente causare un invecchiamento eccessivo delle età misurate. Ma uno studio successivo ha preso in esame il radiocarbonio del polline di conifere, quindi proveniente da piante terrestri, non soggette ai problemi contestati. David Wahl, geografo di ricerca del USGS e co-autore dell’articolo scientifico ha infatti affermato: “Il polline nei campioni proveniva da piante tipicamente trovate in condizioni glaciali fredde e umide, in netto contrasto con il polline del lago salato moderno che riflette la vegetazione desertica attuale”. A ulteriore supporto dei risultati ottenuti con il radiocarbonio, i ricercatori hanno utilizzato anche la tecnica chiamata “luminescenza stimolata otticamente”, che data l’ultima volta in cui i granuli di quarzo sono stati esposti alla luce solare, arrivando allo stesso intervallo di età approssimativa. Molte domande sorgono spontanee alla luce di questi studi, alle quali si potrà dare risposta solo continuando nella ricerca.
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