Le parole di Scottie Pippen sono ovviamente destinate a far discutere. Un po’ perché arrivano da uno dei giocatori più forti di sempre, un po’ perché vanno a toccare il giocatore più forte di sempre e cioè Michael Jordan.
Il rapporto tra i due, oggi, è esattamente l’opposto di quello che era in campo. Pochissima complicità, zero empatia e probabilmente poca stima reciproca.
La causa fu l’uscita di “The Last Dance” la nota serie Netflix in cui si celebravano i Bulls dei sei anelli, ma soprattutto si esaltava la carriera e l’impatto sportivo e socio-culturale di Michael Jordan. Tutto su MJ e poco per le altre star di quella squadra fantastica soprattutto Scottie Pippen e Dennis Rodman. Almeno è così che l’ha letta Pippen che, da quel momento, non lesina mai frecciate al suo ex compagno di squadra. L’ultima in ordine di tempo è arrivata in queste ore, quando Scottie è intervenuto nel podcast ideato e condotto dal suo ex compagno Stacey King dal nome “Gimme The Hot Sauce”. Durante l’intervista, Pippen ha parlato del paragone tra Jordan e LeBron James: “LeBron sarà statisticamente il più grande ad aver mai giocato. Non c’è paragone. Nessuno ci va neanche vicino. Ma questo lo rende il più grande di sempre? Questo è da discutere, ma io non credo che abbia molto senso perché il nostro è un gioco di squadra e un singolo non può vincere da solo”.
Pippen, altro attacco a Michael Jordan
E proprio qui inizia l’affondo dell’ex 33 dei Bulls contro Michael Jordan, parole al vetriolo, sicuramente eccessive rispetto a quella che poi è stata l’evidenza del campo, la realtà dei fatti: “Ho visto giocare Jordan prima che io arrivassi ai Bulls, lo hanno visto tutti: era un giocatore orribile. Era bruttissimo giocare insieme a lui, faceva solo uno contro uno e si prendeva brutti tiri. Poi all’improvviso siamo diventati una squadra e abbiamo cominciato a vincere, e tutti si sono dimenticati di quello che era”. Difficile definire Michael Jordan “orribile” anche prima dell’arrivo di Pippen ai Bulls.
Basti pensare che MJ era stato all-Star già nelle prime tre stagioni in NBA, aveva vinto il premio di rookie dell’anno, aveva segnato 63 punti ai playoff contro i Boston Celtics (rimane ancora oggi la miglior prestazione di sempre in post-season) e nel 1987 aveva chiuso con una media di 37.1 punti, il miglior dato della sua carriera.