Negli ultimi 50 anni la tecnologia riguardo queste protesi ha vissuto passi da gigante: e non è ancora finita
Un team di chirurghi in Texas ha realizzato nel luglio 1973 la prima protesi del pene di natura idraulica, sostituendo il sistema danneggiato dal tumore alla prostata con due pompe collocate nella zona scrotale e un serbatoio nell’addome. Da allora, le protesi sono migliorate grazie a nuove tecnologie e materiali, facendo passi da gigante negli ultimi cinquant’anni. Proprio in questo periodo, durante il congresso nazionale della Società italiana di andrologia (Sia) a Roma, si è discusso del futuro delle protesi peniene. Si sta lavorando nello specifico su una nuova generazione di “touchless”, più facili da utilizzare.
Queste sono dotate di un neurotrasmettitore modulare che rileva lo stimolo eccitativo dal sistema nervoso centrale per innescare l’erezione. Alcuni studi stanno esplorando anche l’uso di meccanismi di induzione termica per attivare l’erezione mediante un elettromagnete. Un’ulteriore conferma dell’evoluzione degli ultimi anni è rappresentato dal fatto che la loro installazione oggi richiede solo un’ora e non comporta componenti esterne visibili. Non solo, la convalescenza è estremamente breve, così come i tempi di recupero, consentendo ai pazienti di riprendere una vita sessuale attiva nel giro di un mese e mezzo. Pochi i rischi, quello più comune (pur essendo un evento raro) è l’infezione della protesi, che richiede la sua rimozione.
Tuttavia, nonostante i progressi e l’efficacia terapeutica delle protesi peniene, in Italia l’accesso a questa procedura è ancora limitato. Solo un paziente su dieci riesce a sottoporsi all’impianto tramite il servizio pubblico o convenzionato. La Sia richiama l’attenzione sul fatto che le protesi peniene dovrebbero essere incluse nei livelli essenziali di assistenza quanto prima. Invece, solamente poche strutture pubbliche offrono questa procedura a causa principalmente di limiti di budget. Questo costringe quasi il 90% dei pazienti a rivolgersi a strutture private. Ma chi sono i soggetti che fanno più uso di questa protesi? Nella maggior parte dei casi si tratta di uomini che purtroppo hanno dovuto fare i conti con l’asportazione radicale della prostata per via di un tumore.
Sono circa 20mila gli uomini si sottopongono a questa procedura in Italia ogni anno. E almeno 10mila di loro sviluppano disfunzione erettile che comporta l’installazione di una protesi peniena per ripristinare la funzionalità sessuale. Insomma, non si tratta di un vezzo, ma un diritto per permettere a questi uomini di mantenere una vita sessuale normale e dignitosa. Ecco perché ci si sta muovendo nella direzione giusta, per aprire questa possibilità a più persone possibili, modificando il decreto tariffe recentemente approvato e inserendo l’impianto di protesi peniena nei livelli essenziali di assistenza. Così l’accesso diventerebbe maggiormente equo e omogeneo alle cure per tutti i pazienti che ne hanno bisogno, indipendentemente dal reddito o dal luogo di residenza.
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