Shutter Island è uno dei film più chiacchierati e conturbanti all’interno della fimografia di Martin Scorsese e Leonardo Di Caprio ha confessato dei retroscena del periodo delle riprese
Leonardo Di Caprio è senza dubbio uno degli interpreti più celebrati e apprezzati del terzo millennio e, tra le sue numerose qualità, vi è senza dubbio quella di saper scegliere con attenzione e gusto i film a cui partecipare.
Difatti, è piuttosto complesso individuare dei film universalmente riconosciuti come brutti, nei quali sia presente Leo, che si è, nella gran parte delle occasioni, sincerato di lavorare con registi di un certo livello. Tra questi, è difficile non citare il leggendario Martin Scorsese, figura incensata almeno quanto quella di Di Caprio, con il quale ha collaborato in più di un’occasione e con cui, tra l’altro, ha firmato il suo ultimo attesissimo film. Killer of the flower moon.
Recentemente, il protagonista di Titanic, ha parlato dell’esperienza maturata sul set di Shutter Island, ovvero uno dei film più acclamati degli ultimi 20 anni. Di Caprio avrebbe passato momenti a dir poco complicati a causa degli argomenti trattati all’interno della pellicola. Leo avrebbe risentito del contenuto fortemente disturbante della sceneggiatura e dello studio necessario a entrare nella parte: “Devo dire che Shutter Island è stata una delle esperienze di ripresa più intense e dure che abbia mai fatto, perché abbiamo esplorato ciò che le persone malate di mente hanno dovuto affrontare ai tempi in cui gli ospedali psichiatrici erano chiamati manicomi. È stato davvero molto traumatico, e non lo dico spesso di un film. Sono andato in luoghi e ho portato alla luce cose che non pensavo di essere in grado di fare”.
Di Caprio scende poi nei particolari, descrivendo le conseguenze psicosomatiche che l’esperienza di Shutter Island ha significato: “Mi ha riportato all’unica volta in cui ho ricordato davvero i miei sogni, perché di solito non li ricordo. Usavo un cerotto alla nicotina, perché cercavo di smettere di fumare, avevo degli incubi sanguinolenti di omicidi di massa, e mi svegliavo nel cuore della notte e dovevo togliermi il cerotto. Credo di aver avuto momenti del genere nel film”. Non è la prima, ne l’ultima volta in cui un attore ha risentito da un punto di vista psicofisico di un ruolo e, solitamente, ciò avviene quando si tratta di interpreti che fanno affidamento sul method acting, ovvero un metodo interpretativo che prevede una totale immedesimazione nel personaggio interpretato.
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