Ormai il ‘lavoro da casa’ è molto gettonato: ecco che differenze ci sono tra chi è in smart working in Italia e chi all’estero
Dopo la pandemia lo smart working ha preso sempre più piede: se prima, soprattutto in Italia, le persone che lavoravano da casa erano davvero poche, ora numerosi uffici hanno intrapreso invece questa strada.
Sul tema ci sono molte teorie discordanti, che mettono in disaccordo sia datori di lavoro che dipendenti, ma dal punto di vista della tassazione com’è la situazione?
Per chiarire le regole sull’imponibilità fiscale del lavoro da remoto, l’Agenzia delle Entrate ha riassunto i criteri da seguire se si è assunti da un’impresa non italiana svolgendo le mansioni dal nostro Paese o, al contrario, se il datore è nei confini nazionali ma il dipendente o collaboratore ha residenza in un altro Paese.
Parola all’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate ha riassunto i criteri per stabilire l’imponibilità fiscale del lavoro da remoto: il Fisco ha diffuso la circolare 25/2023 del 18 agosto nella quale ha esposto alcuni esempi sui profili fiscali dello smart working degli italiani e dei frontalieri. Per esempio, non è soggetta a tassazione in Italia la retribuzione percepita da un lavoratore residente all’estero che svolge in smart working l’attività per un datore di lavoro italiano. Paga invece le tasse nel nostro Paese il cittadino italiano, iscritto all’anagrafe dei residenti all’estero, che lavora per un’azienda straniera ma in modalità agile dall’Italia, dove ha dimora abituale.
La circolare delle Entrate specifica poi che “le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa non incidono sui criteri di determinazione della residenza fiscale”, e quindi continuano a rilevare le tre condizioni generali alternative tra loro (anagrafe, domicilio, residenza). Di conseguenza, uno straniero non iscritto nell’anagrafe italiana, che lavora in Italia in smart working per la maggior parte dell’anno con moglie e figli, per un’azienda estera, a fini fiscali viene considerato residente in Italia. Più in generale, l’attività lavorativa si considera svolta nel luogo in cui il lavoratore è fisicamente presente quando la effettua, indipendentemente dal Paese in cui si trova il datore di lavoro e da quello in cui si manifestano gli effetti dell’attività svolta.
Queste quindi parte delle ultime indicazioni dell’Agenzia delle Entrate: per chi è poco ferrato sul tema è consigliato leggere la circolare completa e rivolgersi ad un esperto in materia.