Recentemente, Enrico Vanzina ha sfogato in maniera lucida le proprie frustrazioni nei confronti della critica italiana.
Lo sappiamo, la critica italiana ha spesso considerato di poco conto e, alle volte, totalmente ininfluente, un tipo di commedia all’italiana che, tuttavia, ha segnato inevitabilmente la storia del cinema italiano.
Enrico Vanzina è uno degli esponenti più fulgidi del cinema tanto criticato e rifiutato dalla critica più schizzinosa, che ha più volte tacciato le produzioni scritte da Vanzina, come dei prodotti beceri e dal dubbio valore cinematografico. Recentemente, il celebre sceneggiatore e produttore ha commentato questa tendenza critica, durante una chiacchiera con il critico Gianni Canova e il giornalista Stefano Zurlo.
Le proiezioni a scuola
Nel corso di un’intervista avvenuta durante la rassegna di Incontri estivi del Grand Hotel Principe di Piemonte di Viareggio, Vanzina si è tolto più di un sassolino dalla scarpa: “Se fossi ministro metterei qualche lezione in meno su I Promessi Sposi e una volta alla settimana la proiezione di un film di commedia italiana per capire chi siamo e da dove veniamo. La commedia italiana ha raccontato tutto in anticipo. Quando Mattarella mi ha ricevuto per il David mi ha detto: ‘Finalmente un riconoscimento alla commedia di questo Paese’. Per me è stata una grande vittoria di Steno, Risi, tutti quanti…”. Lo sceneggiatore ha proseguito, parlando proprio della tendenza critica manifestata da una generosa porzione della stampa specializzata: “C’è stata una grande miopia di un certa critica di sinistra, di non aver capito l’importanza del cinema popolare italiano, che ha raccontato meglio di tutti questo Paese”.
Dopo aver specificato di essere liberale e ne di destra, ne di sinistra, Vanzina ha ricordato che “una critica militante di sinistra demonizzò gli anni ’80, quelli di Craxi, Berlusconi, Reagan, della Thatcher. Sono considerati gli anni stupidi, edonistici, superficiali. All’interno del Pci iniziò un dibattito perché solo alcune voci, dissidenti, dicevano: questi film popolari, come Sapore di mare, piacciono al popolo, perché dobbiamo sostenere solo quelli dei Festival? Questo dibattito non si è mai chiuso”.